Il luogo dove attualmente opera l’associazione “Piccola Oasi Lilly e i Vagabondi” è un’area rinaturalizzata di due ettari, in cui è presente una testimonianza storica del vecchio Polverificio Randi di Villa San Martino. Questo è un piccolo edificio che, un tempo oltre ad essere adibito a deposito, faceva parte di una fabbrica di polvere da sparo che ha avuto sede qui e nei terreni limitrofi per più di un secolo. La storia vede protagonista Pietro Randi, commerciante nato nel 1854 e titolare di una ferramenta a Lugo di Romagna (RA) dal 1880. Ciò che lo distingueva era la sua spiccata inventiva che coltivava vari interessi: tra cui l’ebanisteria e la pittura, la meccanica e la chimica. Nonostante ciò la sua principale passione era quella per i fucili da caccia, di cui prediligeva il tiro al piccione, da poco importata dall’Inghilterra. A tal proposito, ideò una speciale doppietta “a canne slittanti” e una speciale polvere per fucili da caccia (sostanza esplosiva “senza fumo”) che egli battezzò con il nome commerciale di “Randite”. Nel 1889 ne avviò la fabbricazione presso lo stabilimento di Villa San Martino ottenendone il brevetto. La Randite divenne subito un prodotto di successo. Grazie al rapporto qualità-prezzo sul mercato, riuscì a competere con le prestigiose polveri tedesche e britanniche ed ad ottenere un riconoscimento da parte di Re Umberto. La polvere da sparo prodotta a Villa San Martino veniva usata dai migliori tiratori del tempo, fra cui lo stesso Pietro Randi che nel 1894 vinse quasi tutte le gare di tiro al piccione in un prestigioso meeting a Napoli. Dal 1896 al 1904 l’imprenditore lughese cedette in affitto la fabbrica alla ditta bolognese Baschieri & Pellagri, anch’essa operante nel settore degli esplosivi di qualità. Il polverificio tornò alla famiglia Randi qualche anno più tardi, quando il figlio Giuseppe entrò nella ditta accanto al padre. Nel frattempo si unirono all’impresa anche nuovi soci, i Marangoni, titolari di un’azienda vinicola romagnola. Dopo un breve periodo di inattività, la fabbrica riprese a produrre la Randite, insieme ad altre polveri brevettate da Pietro Randi (Ideal, Fulmin) e a prodotti come l’acido nitrico e l’acido picrico. Alla morte del fondatore, nel 1908, Giuseppe Randi ne assunse le redini, avviando poco dopo la produzione di una nuova polvere da sparo, la Tripolitania. Durante la guerra il polverificio fu sottoposto a continua vigilanza, essendo un obiettivo cosiddetto strategico soggetto a possibili azioni di sabotaggio. Così nell’estate del 1918, un carabiniere poi decorato al valor militare per il suo temerario gesto, sventò un attentato dinamitardo contro la fabbrica disinnescando appena in tempo un ordigno esplosivo predisposto da ignoti filoaustriaci. Scampata all’attentato, ritroviamo tuttavia la fabbrica funestata, poco tempo dopo, da una tragica fatalità allorché una esplosione ne distruggeva un intero reparto causando la morte di alcune operaie. Finita la guerra, un secondo incidente, dalle cause rimaste imprecisate e più devastante del primo ebbe luogo nell’agosto del 1925: vi persero la vita ben quattordici donne compresa Emma Randi, la sorella del titolare. Nel 1928, un’altra nuova polvere, la Balistite, usciva dallo stabilimento. Nel 1939, dopo la scomparsa del Marangoni, l’impresa procedeva ad un nuovo assetto societario: accanto a Giuseppe Randi subentra il socio Paolo Longanesi, bagnacavallese, padre del celebre editore e scrittore Leo Longanesi. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il polverificio Randi cessa l’attività: nel 1943 il Ministero dell’Interno ordinava infatti la chiusura di tutti gli stabilimenti privati destinati alla fabbricazione di esplosivi. L’attività ricominciava alla fine degli anni ‘40 con la produzione di altre nuove polveri (Dubat, 3K) che ottennero in poco tempo un notevole successo commerciale. Nel 1950 Giuseppe Randi rinnova il contratto con Paolo Longanesi. Pietro Randi, figlio di Giuseppe, subentra a capo dell’azienda dopo la morte del padre avvenuta nel 1954. Al padre Giuseppe, Pietro intitola la società di tiro al volo da lui promossa. Nel 1977 a Pietro succede il figlio Roberto – bisnipote del fondatore, Pietro. Le crescenti difficoltà nei rifornimenti di materie prime portano alla definitiva chiusura della fabbrica nel 1993, dopo 104 anni di attività. Oltretutto, a partire dal 1° gennaio 1994, una legge approvata nel 1992 vietava la pratica del tiro al piccione. Inutile sottolineare che la storia di questo insediamento industriale (una vicenda senza dubbio gloriosa e tragica nello stesso tempo) ci parla di una pratica, quella della caccia, assai lontana da – e diciamo pure incompatibile con – l’impegno ecologista dell’ associazione che mira invece a promuovere il rispetto e la tutela delle specie viventi vegetali e animali (biodiversità). Ricostruirne le vicende ci consente tuttavia di capire come, insieme ai valori e alla cultura, cambiano nel tempo anche gli usi del territorio. E questo è importante anche per valorizzare un’area dove la fotocamera ha davvero sostituito la doppietta come strumento di caccia.
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